Scusami, ma ti rispondo per punti (un difetto della mia mente schematica:wink:): 1) dove posso vedere i colori "neretto" e "blu"? 2) Applicazione della legge in modo letterale? Fintanto che la legge viene applicata da esseri umani è impossibile l'applicazione letterale e comunque porterebbe a errori di giudizio ancora maggiori. (come si è già accennato in precedenza). 3) il reo non deve essere "incapace di intendere e di volere", ma il contrario! Il reo deve essere capace di intendere e di volere, perchè se fosse stato incapace di intendere e di volere sarebbe stato non imputabile, quindi non reo! 4) Tu sostieni che la legge debba essere interpretata diversamente giusto? Guarda io ti dico solo che l'Art. 85cp, per quanto riguarda la nostra discussione, è ben poco discusso in dottrina e giurisprudenza. C'è un orientamento pressochè univoco. (Vorrei solo risparmiarti la figura di quello che dice che per controsterzare bisogna girare il volante nella stessa direzione della curva! Per rimanere in ambito automobilistico..:wink:) 5) Quella del ban era una frase scherzosa riferita a un post che avevo scritto precedentemente a on a friday. PS. un ultima cosa: se ritieni di poter fare una riflessioni approfondita sul senso e significato del presupposto "capacità di intendere e di volere", almeno da parte mia, è gradita! Quindi se hai un'interpretazione a tuo giudizio più corretta, ci si può confrontare.:wink:
scusate se mi intrometto: però scusa Luccicanza: - il tuo punto 2 non fa che confermare quanto dice Mix, e cioè che al giudice è lasciata un'interpretazione più ampia di quella esclusivamente letterale; - il punto 3 mi sembra non corretto: il reo è colui che commette il reato: cioè colui che con la sua azione produce un evento che la legge prevede appunto come reato. L'incapacità invece attiane all'imputabilità: l'incapace non potrà essere punito ma è sempre l'autore del reato: il reo. - 4 adesso non so perfettamente le varie correnti giurisprudenziali e dottrinarie sul punto, ma stai sicuro che al momento di stesura del codice e delle successive riforme l'icapacità è stato un tema molto discusso; poi, che dal punto di vista prettamente giuridico non ci siano problemi interpretativi (ma non ci giurerei) non significa che una norma sia corretta, ciao
adesso puoi vedere i colori neretto e blu.:wink: 2) tu hai scritto "trattasi di applicazione di quanto previsto dalla legge", non io. Applicazione di quanto previsto dalla legge significa applicazione, non interpretazione creativa. 3) evidente refuso..., ma le menti schematiche non interpretano questi errori. 4) Io dico che la legge (che non conosco) o la sua interpretazione producono effetti risibili o manifestamente schizofrenici. Per forma mentis sono portato a guardare agli effetti dei sistemi e non solo alla correttezza formale del sistema in se stesso; in base ad una analisi inferente la legge, l'intepretazione, il giudizio sono lontani dall'obiettivo che dovrebbero avere, tutelare il danneggiato. Pertanto la critico e ne critico l'applicazione. Tu continui a ritenere che l'interpretazione, l'orientamento, la legge stessa, in quanto poco discussa e univocamente interpretata, siano ipso facto sostanzialmente corretti. Siamo menti diverse e lontane.
Non credo che siamo così "lontani" invece..:wink: Anch'io penso sia sempre necessario avere ben in mente gli effetti, le conseguenze che una legge così come viene interpretata può avere. Partiamo da una considerazione che molto spesso è difficile farla capire a chi non lavora con il diritto. La legge scritta, di per sè, è poca cosa. Purtroppo (o per fortuna) una norma scritta assume significato nella sua applicazione concreta. Non si può prescindere dall'interpretazione giurisprudenziale (anche se si ha un codice!), ma questa è legge, è l'applicazione della norma. Ci possono essere diverse (e contrastanti) interpretazioni, ma una c'è sempre. Quanto al caso da noi discusso. Perchè credi siano sbagliati gli effetti di una norma così posta e così interpretata? Anzi, diciamo così come è scritta, perchè l'interpretazione pressochè univoca in giurisprudenza nel valutare l'imputabilità in relazione al preciso fatto compiuto e in quel determinato momento, mi sembra letterale! Quindi, secondo te, la norma è sbagliata proprio come è stata scritta.. Allora proviamo a ragionarci sù: Se la capacità di intendere e di volere fosse valutata in modo generico e generale, si ammetterebbe, come escludente l'imputabilità, solo il vizio di mente permanente. Quindi non ammetti l'esistenza del raptus mentale o comunque di quelle forme patologiche di cui la medicina ci mette a conoscenza. Anche la schizofrenia sarebbe facilmente esclusa e quindi lo schizofrenico sarebbe imputabile. Anche vari stati emozionali non sarebbero inclusi. Questo non è un ragionamento sbagliato, non dico questo, ma al di là dei nostri desideri di sicurezza che ci portano a ritenere che chiunque commetta un reato deve esser messo in carcere, il nostro legislatore ha fatto una scelta diversa. Il nostro legislatore ha preferito porre l'accento sulla colpevolezza del reo. Questo significa che deve essere punito SOLO chi è colpevole. E che colpa ha il malato?
Rispondo al punto 4 perchè per gli altri punti le mie parole sono state correttamente interpretate da Mixcompacte36.:wink: Allora, non facciamo confusione. Al momento in cui è stato scritto il codice penale ci sono sicuramente stati vari dibattiti circa l'impuabilità del reo. Dibattiti tra l'altro che si sono protratti non solo negli anni, ma addirittura nei secoli precedenti! Questo però è un diverso ambito; si tratta dello studio criminologico. Con il passare del tempo si sono confrontate diverse teorie, fino poi ad arrivare al momento della stesura del codice. E' prevalso infine l'indirizzo tecnico-giuridico ed è stata scritta la norma sull'imputabilità così come la si può leggere all'art. 85 cp. Da quando però è stata scritta la norma nel codice penale, le varie riflessioni teoriche sull'imputabilità dell'uomo delinquente non sono andate sepolte, ma sono rimaste nei discorsi dei criminologi. I giudici devono invece applicare la legge così come è scritta ed interpretarla nel senso voluto dal legislatore. :wink:
in merito al primo periodo, la tua spiegazione è un dato di fatto: il sostanziale arbitrio del giudizio, di cui è piena la nostra vita sociale; la negazione della certezza del diritto. Sul secondo punto: per come è scritta la norma non sembra lasciare adito a dubbi; colui che al momento del fatto era incapace di intendere e di volere, non era imputabile per il reato e quindi non punibile; il lato grottesco è che il reo non imputabile, perché ciò sia dimostrato, è stato imputato, processato, giudicato non imputabile e non punito. Non imputabile per il reato, si badi, il che non vuol dire che non sia reo, avendo commesso il fatto. Bisognerebbe capire quando è stata sritta la norma: infatti una valutazione dirimente non può prescindere dalla constatazione che oggi sono riconosciute forme di infermità mentale episodica che non ostano ad una sostanziale socialità del paziente; illo tempore potrebbe non essere stato così, essendo più netta la distinzione tra malato e non malato (questo ahime' è un altro aspetto negativo del relativismo); e non dimentichiamo che quella norma doveva certamente tenere in conto dell'esistenza dei manicomi, quali istituti di prevenzione per tutti i giudicati non punibili in senso proprio. Quindi potrei pensare che più che essere sbagliata la norma, sia vetusta; e che le perizie psichiatriche e psicologiche (sulla cui attendibilità nutro forti e motivati dubbi), mi pare di recente ammesse nel giudizio, siano lontane dall'essere accettabili in senso di equilibrio sociale. Mi spiego: il violentatore, ritenuto normale fino a che compie il raptus, per questo status viene considerato impunibile e quindi rilasciato con rischio per la società. Ma va da se' che se si ammette questa logica psicologica, chiunque è incapace di intendere e di volere nel momento del fatto, soprattutto quando trattasi di fatti di violenza. Con le conseguenze negative che mi pare anche tu condivida. D'altra parte, se si ammette che un individuo è incapace di intendere e di volere e pertanto non imputabile, si sta ammettendo la sua pericolosità sociale, il che dovrebbe escluderlo da qualsiasi forma di aggregazione e vita sociale non potendosi prevedere, in tagione della vera o presunta infermità, il momento e le conseguenze del raptus. Con lo stato di fatto attuale chiunque può beneficiare dell'incapacità di intendere e di volere momentanea e non pagare per crimini commessi e continuare la propria esistenza come nulla fosse. Infine: il malato non avrà colpa, ma la legge e la giustizia che lo lasciano libero di commettere violenza, hanno colpa nel momento in cui non impediscono il reiterarsi del reato. tutto IMHO, e qui chiudo:wink:
Hai ragione, ma devi avere una visione globale del diritto penale. A fronte della chiusura dei manicomi, il codice penale prevede varie norme volte a evitare che una persona socialmente pericolosa, benchè non imputabile perchè inferma di mente, sia reintrodotta in società. Sono all'uopo previsti: ospedale psichiatrico giudiziario, ospedale psichiatrico civile, casa di cura e custodia. Per tornare al caso Bianchini ci si può chiedere: se il giudice ha ritenuto l'imputato incapace di intendere e di volere, perchè non l'ha reputato un individuo socilmente pericoloso (anche sulla base del reato odioso da lui commesso)?? A questo è difficile dare risposta se non si leggono le motivazioni della sentenza. :wink:
niente di più facile da provare. l'importante è solo tenersi sempre vaghi riguardo i pronomi personali. è chiaro, provabile e documentabile che l'incauto guidatore che ha sottratto il parcheggio a Friday, non intendeva andare all'ospedale ne voleva andarci. ed in misura maggiore DOPO la craniata non era sicuramente in grado ne di intendere alcunchè, ne di volere ripetere l'esperienza... per cui basta restare vaghi sui soggetti presentare 2 referti medici ed il gioco è fatto
Condannato a 17 anni di reclusione, non sono state riconosciute le attenuanti generiche http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_giugno_16/bianchini-condannato-diciassette-anni-1703210768752.shtml